Notizie su Aldo Capitini

Aldo Capitini
Questa scheda, dal titolo Notizie su Aldo Capitini è stata scritta dallo stesso Capitini (1899-1968) negli ultimi anni della vita. Si tratta di un foglio dattiloscritto, inviato a Elena e Walter Binni. Il documento, un'essenziale autopresentazione, era forse destinato a giornalisti o a uffici-stampa di case editrici. Lo riproduciamo come traccia autobiografica del percorso di Capitini.

Aldo Capitini è nato a Perugia il 23 dicembre 1899. Ha studiato nella Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa ed è stato alunno e perfezionando nella Scuola normale superiore, diventando poi assistente volontario universitario e segretario della Normale pisana. Dentro la Normale costituì, tra il 1930 e il 1933, un gruppo antifascista. Nel 1933 fu cacciato dal posto, perché rifiutò di iscriversi al partito fascista, e tornò a Perugia. La sua abitazione, sotto la Torre Comunale, diventò per nove anni il centro di un'attività antifascista di collegamento, di frequenti visite e convegni; Capitini anche viaggiava spesso per formare gruppi di antifascisti, specialmente di giovani, in molte città italiane. Nel 1936 il Croce fece pubblicare da Laterza in un volume, Elementi di un'esperienza religiosa, i fogli che Capitini faceva girare clandestini. Il libro ebbe una notevole efficacia nel 1937, anno della ripresa antifascista dopo la vittoria etiopica, la campagna di Spagna e la morte di Gramsci e dei Rosselli. Gli ideali espressi da Capitini nel suo libro erano di un rinnovamento politico sulla base del solcialismo e della libertà e di un rinnovamento religioso sulla base della nonviolenza. Nel 1942 fu arrestato e trattenuto per mesi nelle carceri di Firenze con Calogero, Ragghianti, Enriques Agnoletti, Codignola ed altri; nel 1943 fu arrestato nuovamente.

Dopo la liberazione di Perugia fu nominato commissario all'Università per stranieri e costituì a Perugia e in altre città e piccoli paesi i C.O.S. (Centri di orientamento sociale) per periodiche assemblee popolari aperte a tutti i problemi. Cominciò anche un'aperta attività per la diffusione della nonviolenza e dell'obbiezione di coscienza, per una riforma religiosa, per l'educazione popolare e la difesa e lo sviluppo della scuola pubblica italiana, con scritti, convegni e movimenti. Nel 1952 costituì a Perugia, in Via dei Filosofi, il C.O.R. (Centro di orientamento religioso) per conversazioni domenicali su problemi religiosi; il Centro per la nonviolenza e la Società vegetariana italiana, proseguendo l'attività di pubblicazioni e di convegni.

Dal punto di vista universitario ha acquistato la libera docenza in Filosofia morale e ha insegnata questa disciplina come incaricato a Pisa fino al 1956, quando ha vinto il concorso universitario di Pedagogia, insegnandola prima a Cagliari ed ora nella Facoltà di Magistero di Perugia.

Nello svolgimento della sua attività per la nonviolenza e la pace ha organizzato una Marcia della pace da Perugia ad Assisi per il 24 settembre 1961. Da allora maggiore sviluppo ha preso il lavoro del Movimento nonviolento. Capitini attualmente dirige due periodici mensili: Azione nonviolenta, e Il potere è di tutti per organismi di controllo dal basso.

Tra le sue pubblicazioni le più notevoli sono, oltre quelle letterarie: Religione aperta (ed. Neri Pozza), La compresenza dei morti e dei viventi (ed. Il Saggiatore), Educazione aperta (ed. La Nuova Italia), Antifascismo tra i giovani (ed. Celebes), La nonviolenza oggi (ed. Comunità), Le tecniche della nonviolenza (Libreria Feltrinelli), In cammino per la pace (ed. Einaudi).


da Elementi di un'esperienza religiosa (1936)

E' uno dei libri fondamentali di Capitini, in cui viene proposta e ampiamente articolata l'idea centrale di "apertura", in netta antitesi alla cultura del regime fascista. Di quel libro, che svolgerà un ruolo importante nella formazione di una cultura antifascista e democratica, riportiamo alcune citazioni scelte dallo stesso Capitini in alcune pagine del volume "Antifascismo tra i giovani", 1966. Una seconda edizione degli "Elementi" sarà pubblicata nel 1947, con l'aggiunta di una lunga introduzione dell'autore e di tre "testimonianze" tra cui una di Binni. Le citazioni che seguono sono tratte dall'edizione del 1947.

Pag. 47: "sento che anche pensare è un fare, è un parlare in silenzio, un aprire il mio animo, un avvicinarmi anche agli astri, anche ai morti".

Pag. 55: "esser vòlti alla molteplicità, con la massima consapevolezza, apertura infinita dell'anima, amore religioso".

Pag. 71: "L'anima religiosa che è infinitamente aperta..."

Pag. 75: "noi non dobbiamo dare che il bene, la vita, l'amore, la luce, la vicinanza, l'atto infinitamente aperto".

Pag. 83: "Sono i cittadini che aprono lo Stato infinitamente, e questa apertura deve accentuarsi nel collettivismo economico, appunto per correggere la tendenza dell'organizzazione a chiudersi, a rendersi trascendente all'anima".

Pag. 109: "quel totalitarismo - politico collettivistico - non è il vero tutto se non ha un'infinita apertura".

Pag. 111-112: "E l'organizzare il mondo nel suo insieme, che è la febbre politica economica attuale, e in cui s'incontrano Russia, America ed altri, è insufficiente se il gigantesco corpo mondiale non comincia ad essere penetrato da un tipo di liberazione organizzata, non più chiusa, ma aperta, non più Chiesa, ma centro, un centro di fede e di lavoro."

Pag. 113: "solitudine e società per colui che dal centro religioso è aperto a tutto e a tutti, non son più due cose separate, ma una sola, germinante nell'intimo in ogni momento. Nell'apertura dell'anima si realizza il contatto e la fusione con una società infinita, e si può ben morire soli sulla croce".

Pag. 135: "il buono deve mettere alla prova la sua bontà; non far lega col buono e ritirarsi su di un monte: ciò è contrarissimo all'apertura religiosa che è l'intimo della bontà".


da Rivoluzione aperta (1956)

In "Rivoluzione aperta", pubblicato da Parenti, Milano, nel 1956, Capitini propone la sua concezione della rivoluzione nonviolenta. La nonviolenza non è la semplice negazione della violenza, è invece la proposta di una concezione del mondo e di una pratica di trasformazione permanente, rivoluzionaria, dei rapporti interpersonali e delle persone con la società e la natura.; è "attiva apertura all'esistenza, alla libertà, allo sviluppo, alla compresenza di tutti gli esseri", secondo una definizione di Capitini nel volume "La nonviolenza oggi", Comunità, Milano, 1962.

Più volte fino ad oggi sono state fatte "rivoluzioni", e ci sono quelli che vogliono anche ora fare una rivoluzione. Noi non abbiamo paura di questa parola, anzi ci diciamo senz'altro rivoluzionari, proprio perché non possiamo accettare che la società e la realtà restino come sono, con il male, che è anche sociale, ed è l'oppressione, lo sfruttamento, la frode, la violenza, la cattiva amministrazione, le leggi ingiuste. Rivoluzione vuol dire cambiamento di tutte queste cose, liberazione, rinascita come persone liberate e unite...
E allora possiamo dire agli altri rivoluzionari: voi avete ragione di essere insoddisfatti di questa società sbagliata e ingiusta, ma come potrete voi cambiare tutto e subito con le vostre mani? volete distruggere le persone che vedete come avversarie, e anche quelle che sospettate di non essere rivoluzionarie? volete che la rivoluzione avanzi con le stragi, le torture, il governo assoluto di un gruppo che impedisca a tanti altri di parlare, di informarsi, di fare critiche, di vivere? Noi vogliamo una società di tutti, e cominceremo con l'ammazzare migliaia? vogliamo una società amorevole, e cominceremo col coltivare e stimolare l'odio? vogliamo una società libera, e aumenteremo la tirannia, l'assolutismo? Vogliamo un fine buono e pulito, e useremo mezzi sporchi e terribili?
Ci vengono a dire che ci sono state altre rivoluzioni, inglese, americana, francese, russa, cinese. Ma noi rispondiamo che non vogliamo qui giudicare quelle rivoluzioni né i metodi che hanno usato né i risultati che hanno raggiunto; la storia deve mutare, e oggi i nostri problemi li vediamo in un'altra luce; rispondiamo che la nostra rivoluzione, oggi qui e subito, ha qualche cosa di diverso, perché è fatta insieme con tutti, con l'animo nostro unito a tutti anche se non ci sono accanto, è rivoluzione per tutti e con tutti, non escludendo e non distruggendo per sempre e non dannando in eterno nessuno: è rivoluzione corale.
Una riforma parziale sarà utile: anche un aumento di salario per chi guadagna troppo poco, anche una casa a buon prezzo per chi abita nelle grotte (come ce ne sono in Italia), sono riforme sacrosante; ma a noi non bastano, perché vogliamo una liberazione totale, siamo rivoluzionari fino in fondo.
Perciò la nostra rivoluzione è totale, perché vuole una totale liberazione di ogni angolo e aspetto e struttura della realtà e della società dal dolore, dalla morte, dal male morale e sociale; la nostra rivoluzione è corale, perché la facciamo in nome non di un gruppo, ma di tutti, e avendo tutti nel nostro intimo (come parenti, come compagni) anche quelli che ci stanno contro (ma possono cambiare), ed anche i morti, che sono uniti a noi e ci aiutano; la rivoluzione che vogliamo è aperta, perché fa e tenta tutte le trasformazioni che vede e può, ma, sapendo che non ha le forze per liberare totalmente dal dolore, dalla morte, dal male morale e sociale, ha la speranza e l'apertura, che se noi cominciamo bene, con mezzi eguali al fine e puri come il fine, il resto ci sarà aggiunto dal futuro, dalla storia, da Dio.
La rivoluzione aperta, ereditando le altre rivoluzioni per migliorarle e perfezionarle, ha nel suo programma il principio che bisogna far subito qualche cosa; un senso diverso del tempo, un non dar pace ai fatti, rompendo di colpo il continuare la vita come prima.
Lo spirito rivoluzionario è vissuto con un ritmo pressante, impaziente, non rassegnato, non rimandante. Si tratta del lavoro, della giustizia, della cultura, dell'amore per tutti, e non si possono accettare ritardi, rinvii, inganni, pretesti, affermazioni che non si può fare più e meglio. (p. 9-13)


da Colloquio corale (1956)

Capitini espone compiutamente la propria concezione del mondo nei versi di "Colloquio corale", pubblicati dalla casa editrice Pacini Mariotti nel 1956. Questi versi, che saranno interpretati musicalmente da Valentino Bucchi, troveranno uno sviluppo teorico nel volume "La compresenza dei morti e dei viventi". In uno scritto autobiografico del 1968, "Attraverso due terzi di secolo", Capitini scriverà: "Se dovessi indicare i punti dove ho espresso la tensione fondamentale, da cui tutte le altre, del mio animo per l'interesse inesauribile agli esseri e al loro animo perché ad essi sia apprestata una realtà in cui siamo tutti più insieme e più liberati, segnalerei alcune righe di un mio libro poetico, 'Colloquio corale' (sulla festa), nel quale ho ripreso accentuando la compresenza, un modo di esprimersi lirico già presentato negli Atti della presenza aperta." Capitini, secondo quanto riferisce Walter Binni nello scritto Aldo Capitini e il suo "colloquio corale", si riferisce al seguente brano:

La mia nascita è quando dico un tu.
Mentre aspetto, l'animo già tende.
Andando verso un tu, ho pensato gli universi.
Non intuisco dintorno similitudini pari a quando penso alle persone.
La casa è un mezzo ad ospitare.
Amo gli oggetti perché posso offrirli.
Importa meno soffrire da questo infinito.
Rientro dalle solitudini serali ad incontrare occhi viventi.
Prima che tu sorridi, ti ho sorriso.
Sto qui a strappare al mondo le persone avversate.
Ardo perché non si credano solo nei limiti.
Dilagarono le inondazioni, ed io ho portato nel mio intimo i bimbi travolti.
Il giorno sto nelle adunanze, la notte rievoco i singoli.
Mentre il tempo taglia e squadra cose astratte, mi trovo in ardenti secreti di anime.
Torno sempre a credere nell'intimo.
Se mi considerano un intruso, la musica mi parla.
Quando apro in buona fede l'animo, il mio volto mi diviene accettabile.
Ringraziando di tutti, mi avvicino infinitamente.
Do familiarità alla vita, se teme di essere sgradita ospite.
Quando tutto sembra chiuso, dalla mia fedeltà le persone appaiono come figli.
A un attimo in cui mi umilio, succede l'eterno.
La mente, visti i limiti della vita, si stupisce della mia costanza da innamorato.
Soltanto io che resto, prevedendo le sofferenze.
Ritorno dalle tombe nel novembre, consapevole.
Non posso essere che un infinito compenso a tutti.

I versi di "Colloquio corale" e il resto della produzione poetica di Capitini sono stati raccolti nel volume "Aldo Capitini poeta" di Patrizia Sargentini, con antologia a cura di Luisa Schippa, Perugia, Guerra Edizioni, 2001, nuova ed. ivi 2003.


Il controllo dal basso (1964)

E' l'editoriale del primo numero (gennaio 1964) del foglio periodico "Il potere è di tutti", fondato e diretto da Capitini tra il 1964 e il 1968. Alcune parole-chiave, in neretto, sono spiegate in brevi articoli che seguono l'editoriale. Un'edizione anastatica del periodico è stata pubblicata, a cura di Luisa Schippa e Liana Belli, dalla Regione dell'Umbria nel 1978. La prospettiva politica della "omnicrazia" nasce in Captitini, oltre che dalla sua concezione etica e filosofico-religiosa della storia e delle relazioni interpersonali, da una lunga pratica di ascolto ed educazione alla consapevolezza e all'autonomia delle persone, partendo da sé per interagire con gli altri in processi di liberazione dai limiti e dai vincoli della condizione umana. I fogli de "Il potere è di tutti" si rivolgevano alle persone "comuni" con le quali Capitini si confrontava quotidianamente.

Il piano per arrivare ad una società che sia veramente di tutti non è ancora realizzato. Sono ancora poche le cose che tutti hanno liberamente, oltre la vita, l'aria, il sole, un corpo naturale, un cuore, una mente per pensare, una volontà per decidere. Esiste la società civile, che è una creazione storica molto importante, ma essa è ancora troppo imperfetta. Vi esiste lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, l'autoritarismo dell'uomo sull'uomo: alcune mani hanno ricchezze grandissime, altre mani, pur lavorando tutto il giorno, non riescono a riportare a casa (e quale casa, certe volte!) un guadagno sufficiente; alcuni hanno un potere grandissimo nel comandare, nell'imporre agli altri la loro volontà anche con la forza, e molti altri debbono raccomandarsi e ubbidire per salvare la semplice vita..
Eppure, se si guarda bene, gli sfruttati e gli oppressi sono una immensa maggioranza in confronto a quelli che hanno il potere politico ed economico. Poche persone decidono della pace e della guerra, del benessere e del disagio di tutti. E chi controlla questi pochi potentissimi? Solo i gruppi di potere; la moltitudine non è presente. Anche se viene convocata alle elezioni (una buona cosa, certamente) ogni quattro anni, ogni cinque anni, i pochi potenti non si preoccupano, durante i quattro o cinque anni, di dare informazioni esatte a tutti, di aprire scuole per chi non ha nessuna cultura, centri sociali per aiutare gli uomini a ritrovarsi insieme, a discutere e imparare l'uno dall'altro. Anzi i potenti fanno di tutto perché le persone non si trovino insieme a discutere e a criticare, se occorre; e i grandi industriali sono pronti a dare la settimana lavorativa di cinque giorni agli operai, così la sera dei cinque giorni saranno spossati e non andranno al centro sociale a parlare di politica ed istruirsi liberamente, e nei due giorni liberi scapperanno dalla città a fare i turisti o a pescare.
Per trasformare tutta la società è, dunque, necessario cambiare il metodo, e farla cominciare "dal basso" invece che dall'alto. Bisogna cominciare uno sviluppo del controllo dal basso che dovrà crescere sempre più. Anzitutto essendo uniti. L'industria lo insegna; ma oggi anche l'agricoltura, perché si è visto che la salvezza della campagna è nelle grandi cooperative, nelle grandi aziende. Essere uniti, ma anche attivi, pronti a dedicare un po' di tempo, un po' di energie, un po' di soldi, a organizzare libere associazioni, perfezionandole sempre di più. E bisogna anche cercare di conoscere i fatti, di sapere come vanno le cose politiche, sociali, sindacali, amministrative. Per arrivare a questo è bene avere centri sociali, con libri, giornali, discussioni. Anzi una cosa fondamentale è riunirsi in una discussione settimanale, specialmente sui problemi della propria località. E' vero: ci sono i partiti, i sindacati, le amministrazioni comunali e provinciali, il governo con i suoi ministeri; ma questo non basta, è necessario aggiungere il controllo di tutti dal basso, per criticare, approvare, stimolare, per dare elementi che quelli dell'alto non conoscono e fare proposte a cui essi non hanno pensato.
Noi vogliamo dare un aiuto per questo lavoro di controllo dal basso, favorendo la costituzione di Centri di orientamento sociale in ogni località, anche piccola e collegandoli con questo periodico, stimolando a formare consigli di gestione nelle aziende, consigli di classe nelle scuole, consigli di assicurati nelle previdenze sociali e nelle mutue, consigli di ammalati nei sanatori e negli ospedali, là dove è possibile. Ognuno deve imparare che ha in mano una parte di potere, e sta a lui usarla bene, nel vantaggio di tutti; deve imparare che non c'è bisogno di ammazzare nessuno, ma che, cooperando o non cooperando, egli ha in mano l'arma del consenso e del dissenso. E questo potere lo ha ognuno, anche i lontani, le donne, i giovanissimi, i deboli, purché siano coraggiosi e si muovano cercando e facendo, senza farsi impressionare da chi li spaventa con il potere invece di persuaderli con la libertà e la giustizia, e l'onestà esemplare dei dirigenti.
E' un errore pensare che basta che uno molto bravo (e chi lo giudica?) o un gruppo di pochi vada al potere anche con la violenza, riesca a cambiare tutto in bene. Noi non ci crediamo. Bisogna prepararci tutti al potere per il bene di tutti, cioè per la loro libertà, per il loro benessere, per il loro sviluppo.

Seguono brevi testi di spiegazione delle parole-chiave indicate in neretto: Il piano, Società civile e potere politico, Autoritarismo, Potere e nuovi mezzi di potere, Gruppi di potere, Centri sociali. In un riquadro: Istruzioni per costituire il Centro di orientamento sociale.


da La compresenza dei morti e dei viventi (1966)

La riflessione teorica di Capitini sul tema della "compresenza" dei morti e dei viventi è uno sviluppo dell' "apertura" al colloquio "tu-tutti". Nel 1966 Capitini raccoglie in un volume edito da Il Saggiatore, Milano, gli esiti di una ricerca che ha perseguito per tutta una vita, proponendone i messaggi profondamente rivoluzionari.

La compresenza nella sua unità intima di morti e di viventi preme sulla realtà così com'è, la realtà della natura, della vitalità e della potenza. La compresenza assedia senza tregua questa realtà del mondo della natura, pervade e può anche fare trasformazioni totali. "Noi non sappiamo l'ora".
Non è il singolo che può sostituirsi ad essa e trasformare tutta la realtà del mondo della natura; ma il singolo può avvertire tali possibilità, spiare le aperture ad Altro nello stesso mondo della natura, fare il profeta di una realtà liberata, posizione questa intrinseca alla vita religiosa, che è di speranza e annuncio di una realtà, mentre il saggio indica il modo migliore di rigirarsi nella realtà così com'è. Se la compresenza non sta nella sua diversità in modo statico e come un rifugio, ma assedia e preme e penetra, c'è un campo di produzione nel mondo dove la compresenza realizza in qualche misura se stessa, ed è quello della produzione dei valori, che sono creazione corale della compresenza, nella quale ognuno mette qualche cosa di proprio. Un atto di bontà, o di onestà, o di ricerca del vero, o di creazione e ri-creazione del bello, o di sacrificio o di lotta per la più pura libertà, avviene perché c'è l'azione della compresenza, che è a un livello che comprende tutto il meglio del fare, ed è dinamica e preme a rivoluzionare il mondo della natura come vitalità e potenza. Indubbiamente la produzione dei valori con la tensione ad essi e il rapporto e quasi il colloquio e l'armonia che c'è tra un alto valore ed un altro, hanno un carattere rivoluzionario rispetto al mondo della natura, e tale rivoluzione diventa sempre più consapevole quanto più si avverte che al valore sono uniti tutti, perché tutti vi partecipano. (p. 30)


da Antifascismo tra i giovani (1966)

Nel volume, pubblicato nel 1966 dalle Edizioni Célebès di Trapani, Capitini ricostruisce la fitta trama di relazioni costruita a partire dagli anni '30 sul terreno dell'opposizione al regime fascista e della progettazione di una società democratica. E' l'ampio e articolato panorama di una rete antifascista che ha i suoi centri propulsivi a Perugia, Firenze, Bologna, Milano, Pisa, Roma, Bari, Napoli, animata da Binni, Ragghianti, Barolini, Gnudi, Contini, Rinaldi, Bassani, T. Codignola, Enriquez Agnoletti, Ramat e molti altri, e dagli incontri frequenti con Croce, Flora, Calogero, Banfi, Parri, Pavese, Ginzburg, G.Pintor, Vittorini, Fortini, U. La Malfa, Omodeo, Calamandrei, Fiore, Bobbio, Luporini, Cantimori, Montale, Morra, Pancrazi ed altri. Il libro traccia anche le linee del lavoro politico antifascista nella direzione prevalente del "liberal-socialismo" ed anche, per alcuni, della simpatia per il metodo nonviolento ispirato alla lezione gandhiana. Del volume riportiamo la conclusione del capitolo "Aria di Perugia" e l'inizio del capitolo "Il liberalsocialismo".

(...) Walter Binni (nato a Perugia nel 1913 e oggi professore di Letteratura italiana nell'Università di Roma) era venuto alla Normale come primo vincitore della Classe di Lettere nel 1931. Era ancora fascista, un esempio di tanti giovanissimi, il cui primo entusiasmo che li aveva avvicinati alla politica, era stato per Mussolini. Veramente la linea del suo sviluppo graduale, per opera della sua apertura e dell'intelligenza attiva e vivissima, capace di padroneggiare sempre più gli attaccamenti dell'adolescenza, è stata la linea dei migliori antifascisti italiani suoi coetanei. Era rimasto alla Normale quando io fui licenziato. Lasciai a lui il mio grammofono con i dischi beethoveniani, e con gli amici delle conversazioni di quando c'eravamo Baglietto ed io, e con i normalisti venuti dopo, frequentissimi furono i concerti e le discussioni. Egli è stato per me, oltre che compagnia carissima nelle conversazioni letterarie, politiche, religiose, e nelle passeggiate sui colli dell'Umbria e ad Assisi, il tramite verso molti giovani nuovi per me, e quindi un aiuto sempre maggiore nel lavoro che intrapresi a Perugia, nel recuperare ogni precedente conoscenza di giovani, dove che fossero, e nell'incontrarne altri. (pp. 48-49, edizione 1966)


IL LIBERALSOCIALISMO

Il 1937 fu l'anno più importante da una parte e dall'altra. Mussolini aveva vinto in Etiopia e in Spagna, aveva consolidato perciò i suoi rapporti con il Vaticano e si affiancava sempre più ad Hitler. All'interno poteva sembrargli di aver spento ogni residua opposizione o velleità di opposizione: il re gli era accanto come "maresciallo dell'Impero", Badoglio gli aveva procurato una rapida e definitiva vittoria, Gramsci moriva, i Rosselli venivano soppressi in Francia, l'antifascismo che veniva dal passato era disperso, imprigionato o al confino. La politica unita alla forza aveva vinto.
Dall'altra parte quell'anno vide il consolidarsi della "nuova opposizione" dei giovani, degli arrivati allora o da poco alla certezza che il fascismo era totalmente sbagliato. A centinaia questi giovani qua e là si mettevano su una strada nuova, comune, anche senza conoscersi. Affluivano i giovani nati tra il '13 e il '20; poi verrà la grande, preziosa corrente dei nati tra il '21 e il '24 (quanti bravissimi giovani spuntarono nell'antifascismo, nati negli anni 1923-24!).
Dopo qualche mese che i miei Elementi erano usciti (nel dicembre 1936) Walter Binni mi disse: "Perché, sulla base di ciò che hai scritto negli Elementi, nell'ultima parte specialmente, e indipendentemente dal lato religioso, non cerchi di stabilire una collaborazione precisa di vero e proprio Movimento?". Riflettei sulla proposta, e concretai alcuni punti schematici, che erano fondati sull'esperienza che avevamo fatto durante il fascismo, che poteva riassumersi così: siamo socialisti, ma non possiamo ammettere il totalitarismo burocratico statalistico; siamo liberali, ma non possiamo ammettere il dominio del capitalismo che è nel liberismo. Non era giustapposizione. La sofferenza e lo sdegno per il sistema totalitario, autoritario e centralistico erano profondi, non al punto di desiderare un totalitarismo "migliore", ma tali da non far rinunciare mai alla libertà di informazione e di critica, alle libertà di associazione e di sviluppo culturale, per nessuna ragione da sopprimere, ma sempre da accrescere, oltre i tradizionali strumenti di tipo parlamentare, da mantenere, ma insufficienti, e associabili con forme di controllo dal basso, decentrate e moltiplicate. Questa vita della "libertà" era da vedere come intrinseca al socialismo stesso, e quindi non da considerare indissolubile con la libertà di mercato del liberismo economico. Altro che partito unico, iscrizione obbligatoria per avere impieghi pubblici, segretari federali onnipotenti (e nominati dall'alto), stampa uniforme e conformista, ministero della propaganda e del controllo di tutte le espressioni pubbliche, censura, gerarchi, e nelle scuole "libro e moschetto" (con il libro che esalta... il moschetto stesso)! (...) (pp. 96-97, edizione 1966)